La Torre del Serpe è uno dei luoghi più affascinanti di Otranto. La sua stessa leggenda ricorda la durezza e la forza di questa terra di frontiera.
L’antica “torre del cocorizzo” visibile da Otranto segnalava un tempo la presenza del porto. Fu fatta restaurare da Federico II (1230) ed in seguito ricostruita.
Le alte e ripide scogliere della “palombara” le sue grotte profonde, la “vora” erano rifugio dell’enorme idra che divorava i naufraghi.
Una leggenda, ma con un fondo di verità: la pericolosità di questo tratto di mare e la presenza di numerosissime grotte sottomarine.
È un vero e proprio intrico di tunnel e grotte, l’ambiente ideale per pesci da tana quali cernie e murene, un percorso ideale per i speleosub.
Da una recente indagine Otranto risulta essere la località con il più alto numero di cavità sottomarine d’Italia.
Un ambiente paradisiaco per i subacquei ed in parte ancora inesplorato.
Tra i fondali più celebri si segnalano la grotta della “Palombara” dove nel 1982 fu avvistato un esemplare di foca monaca; il tunnel del diavolo, la grotta del serpe tana della leggendaria creatura; la franata di 40 metri di Punta Facì oppure la grotta del “Lampione” che prende il nome dal foro sulla sommità da cui la luce penetra come da un faro.
Sono fondali mozzafiato dove s’incontra il fondale coralligeno oppure l’axinella cannabina, la “spugna candelabro”.
Tornando a riva s’incontra la gariga, regno della vicia e di numerose specie di orchidee.
Ma la natura si è divertita anche nel costruire in un monumento di archeologia industriale un ambiente speciale: il piccolo laghetto di bauxite.
Profondo 20 metri, il laghetto era utilizzato come stazione di lavaggio della bauxite raccolta nell’entroterra talentino (Giuggianello, Minervino). Negli anni '40 sì inizio a pensare allo sfruttamento di questo minerale da cui si estrae l’alluminio, fino a giungere al 1976, anno in cui l’estrazione fu abbandonata.
Oggi resta questo suggestivo ecosistema immerso nella terra rossa e friabile.
La Torre dell’Orte, cinquecentesca, svetta ancora sulla sommità della baia dell’Orte.
Nei pressi della caletta con spiaggia di porto Grande ci sono i resti della stazione telegrafica Otranto-Valona.
Subito dopo la costa s’innalza sempre di più fino a Capo d’Otranto.
La falesia alta si può osservare percorrendo uno dei sentieri a mezza costa dove s’incontrano tutte le essenze della macchia mediterranea (dalla quercia spinosa al mirto) e della profumatissima gariga e timo.
Tra di esse fioriscono numerose orchideee come la splendida orchidea piramidale (Anacamptis pyramidalis).
Tre grandi canaloni creati dall’erosione solcano la costa: canale dello zingaro, canale dei monaci e canale oscuro.
Ancora oggi questa zona è indicata col nome di “marina dei monaci”.
Qui, infatti, pescavano un tempo i monaci della vicina abbazia di San Nicola de Casulis.
Fino agli anni '70 si è conservato l’uso delle “cannine” un insieme di fascine adatte ad intrappolare il pesce al variare delle maree.
Ci si avvicina a Capo d’Otranto, il punto più orientale d’Italia.
Questo è ancora il regno dei rapaci che in questa zona nidificano e cacciano.
Si possono osservare il Falco della regina (falco eleonorae) mentre cattura gli uccelli con le sue acrobatiche picchiate, oppure la poiana (Buteo buteo) che qui nidifica.
Ma anche il rondone (Apus apus) ed il Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus).
All’estremità di Capo d’Otranto s’incontra un altro importante monumento di archeologia industriale divenuto un luogo simbolo per l’intero Salento: il faro di Palascia.
Costruito nella seconda metà dell’Ottocento, il faro di Capo d’Otranto funzionava tramite una lampada a gasolio ed un complesso sistema di lenti convesse.
La sua luce, con l’arrivo dell’energia elettrica, giunse fino a 25 miglia dalla costa.
Una lunga scalinata in ardesia conduce fin sulla sommità da cui si gode un panorama incredibile.
È l’osservatorio ideale per osservare il passaggio dei tonni, del pescespada e le evoluzioni dei delfini.
L’ultimo guardiano ad abitare il faro fu Luigi Tarantino capo cannoniere della Marina militare Italiana.
Gli ambienti del faro che in passato ospitavano il personale e le loro famiglie sono ancora in fase di restauro per divenire un centro di ricerca ed osservazione ambientale.
Da questo luogo si può vedere la prima alba d’Italia.
A Capodanno migliaia di persone si danno appuntamento qui per vedere la prima alba del nuovo anno.